Affetto ed ammirazione per Don Bosco
Tra i fattori che costruiscono la nostra unità come Congregazione e come Famiglia Salesiana il primo, il più forte è l’amore a Don Bosco. È una simpatia, una ammirazione, un sentimento, un’attrazione, una specie di energia “istintiva”, che si orienta poi verso l’imitazione, il voler restare spiritualmente con lui, il coinvolgimento nella sua opera.
Noi sappiamo che è la grazia che sta all’origine della nostra vocazione. Orientandoci a Don Bosco, come Padre, Maestro e Amico, lo Spirito Santo ci ha portato verso la consacrazione religiosa caratterizzata dalla missione giovanile e dalla preoccupazione educativa.
Nella tradizione salesiana tale affetto si è manifestato sempre senza pudore, quasi con entusiasmo giovanile, prolungando quella ammirazione dei primi giovani oratoriani che vollero “restare con Don Bosco” e formarono il primo nucleo della Congregazione. È il segno di un rapporto filiale, profondamente sentito.
Dai Salesiani questo entusiasmo e ammirazione passa dappertutto ai giovani, i quali lo esprimono in forme molteplici, secondo il loro stile: con canti, scene, magliette, celebrazioni, pellegrinaggi, lettura di qualche biografia, presentazione di film e videocassette, piacere di stare e occuparsi nelle nostre case, amicizia con i confratelli. Una raccolta comune di canzoni e lodi sacre ormai attraversa il mondo e si sentono in tutte le lingue.
Ho toccato con mano due risultati di questo affetto. Nei giovani è generatore di iniziative, pensieri, desideri e progetti sulla linea dell’impegno e della crescita nella fede. È un potente fattore vocazionale. Nelle comunità è fonte di gioia, di fiducia nel proprio lavoro, di serena appartenenza e identificazione.
Anche nei casi in cui un osservatore alquanto critico vi trovasse un po’ di ingenuità o esagerazione, i frutti che ne risultano sono positivi. La freddezza e il distacco, al contrario, appaiono sterili.
L’ammirazione va oltre il nostro ambiente. Commenti, necessariamente generali, sulla genialità e l’originalità di Don Bosco li ascoltiamo da istanze ecclesiali, da autorità civili e da gente comune. Molte attese si pongono sulla applicazione dei suoi metodi e sulla creazione di iniziative educative come quelle a cui egli ha dato origine.
Mi ha interessato lo studio sulla formazione dell’immagine di Don Bosco. In essa certamente ha influito la adesione dei suoi giovani, conquistati dalla sua capacità di amarli e aprirli alla vita. Essi hanno raccolto e diffuso aneddoti, sogni e imprese con straordinaria vivacità narrativa quando non esistevano ancora i moderni mezzi di comunicazione. Hanno trasmesso la loro esperienza, facendo quasi sentire presente la paternità affascinante di Don Bosco. Ciò è rimasto tra le nostre caratteristiche carismatiche e pastorali: l’amore entusiasta al Fondatore e la sua comunicazione ai giovani.
Ha influito anche il modo con cui venivano presentate le sue imprese dal Bollettino Salesiano, sotto la sua direzione e secondo i suoi criteri. Il bene va diffuso e va presentato in forma attraente.
Soprattutto ha influito l’impatto diretto dello stile e dei risultati educativi in una società a cui preoccupa il fenomeno giovanile.
All’origine c’è una santità molto tipica, segnata dalla carità pastorale, capace di raggiungere il cuore delle persone, attenta alle questioni del suo tempo.
Così Congar, in un noto commento sul Concilio, si riferiva alla figura di Don Bosco:
“La più grande novità del Concilio è questa: se la Chiesa è nel mondo e nel mondo si trovano i problemi, la santità è un fenomeno che interessa la cultura. Può sembrare un concetto discutibile, ma un punto centrale delle intuizioni del Concilio è che la santità ha a che vedere con la storia. Con l’Incarnazione la storia dell’uomo è il luogo dove si esprime l’amore di Dio; la santità non nasce dunque dalla fuga o rigetto del mondo, perché è nella misura in cui mi tuffo nel mondo per salvarlo che trovo il gran dono di Dio.
Chi sono i santi? Mi piace ricordare anzitutto colui che ha preceduto di un secolo il Concilio: Don Bosco. Don Bosco fu già profeticamente un nuovo modello di santità per la sua opera che si distingue dal modo di pensare e di giudicare dei contemporanei”.
“Noi lo studiamo e lo imitiamo”, dicono le Costituzioni. Sembrano due momenti collegati. Si parla oggi molto di fedeltà creativa in riferimento alla vita consacrata. Un approccio serio ed un’attenzione rinnovata non soltanto non minacciano l’immagine del nostro Padre, illuminata dall’affetto e da una tradizione che ha saputo mantenere vivo il ricordo dei suoi gesti, ma rendono ragione della sua permanente validità collocandola nel suo contesto storico ed ecclesiale.
– (ACG, 364 – Vecchi)