Per il suo impegno a favore di tossicodipendenti, malati di AIDS e migranti, il salesiano toscano 93enne don Luigi Zoppi, ha ricevuto martedì 19 marzo 2024, festa di San Giuseppe, il premio della “Canaviglia”, onorificenza cittadina del Comune di Livorno – città in cui il salesiano opera, sempre a servizio degli ultimi e nell’alveo della Chiesa, da quasi 50 anni.
Ringrazio il Sindaco che ha voluto riconoscere nella mia persona quanto fatto dai Salesiani di Don Bosco a Livorno, dai tanti volontari in questi 125 anni, con i centri di formazione professionale, scolastici, centri di aggregazione, con le comunità di accoglienza del ‘Ceis’ da me fondate per i giovani in stato di dipendenza con profughi, immigrati – ha affermato il salesiano nel suo discorso di ringraziamento per il premio –. Dedico la ‘Canaviglia’ a Don Bosco, Padre, Maestro. La dedico a quanti operano per il sostegno e la formazione dei giovani più svantaggiati nel pubblico e nel privato sociale, a quanti per il loro impegno personale in mutuo aiuto hanno spezzato le catene della dipendenza e ripreso a vivere con responsabilità.
Il salesiano si è anche detto contento di essere premiato il 19 marzo, nel giorno di San Giuseppe, ma anche nello stesso giorno dell’elevazione di Livorno a Città, e ha voluto condividere l’onorificenza con il suo ordine e gli altri volontari.
Nella Sala Cerimonie del Palazzo Comunale, gremita di autorità e di amici del sacerdote, il Sindaco Luca Salvetti ha ricordato che il motivo per il quale la Giunta ha deciso di assegnare l’onorificenza al sacerdote salesiano è “per il servizio svolto in cinquanta anni spesi tra le periferie esistenziali della nostra città. Don Zoppi ha dedicato la sua vita alle persone più emarginate, offrendo loro assistenza e nuove opportunità, sfidando i pregiudizi che le relegano ai margini della società e ispirando tante persone che, seguendo il suo esempio, hanno dato vita a un’ampia rete di accoglienza e solidarietà”.
L’attribuzione a don Zoppi della Canaviglia si pone quindi come riconoscimento “della sua costante azione di cura e supporto della comunità livornese”.
Diversi altre autorità e ospiti hanno preso la parola nel corso della cerimonia. Mons. Paolo Razzauti, Vicario Episcopale per la Città, ha affermato: “Faccio un paragone con Don Milani: don Gigi ha sempre aiutato tutti, è stato assistente sociale, ma è sempre stato prete fino in fondo, non ha mai rinnegato il suo essere prete. Per questo ti dico grazie a nome della chiesa livornese”; don Armando Zappolini, Presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), che ha definito don Zoppi “un maestro, un riferimento”; il Prefetto della città, Paolo d’Attilio, che ha commentato: “Nel mio percorso professionale l’ho sempre incontrato e l’ho visto sempre pensare agli altri e mai a se stesso, per questo gli dico grazie”; e infine anche un signore senegalese, Cissè Mory Guetta, che ha raccontato la sua vicenda di ex raccoglitore di pomodori a Rosarno, in Calabria, che solo grazie a don Zoppi, come ha voluto sottolineare, oggi ha documenti, casa e famiglia e una vita serena.
Sono intervenuti, infine, anche il Presidente del Consiglio Comunale Pietro Caruso, anche in rappresentanza della Provincia di Livorno, e il Consigliere Comunale Paolo Fenzi.
Nato nella notte di San Lorenzo di 93 anni fa, da bambino don Gigi è chiamato anche Rino, in onore della sua mamma, che perde la vita partorendolo. Suo padre quindi si trova a crescere il figlio senza il supporto della moglie, a pane e comunismo. E proprio per la sua fede comunista, il papà di Luigi non vede di buon occhio la volontà del figlio di farsi prete. Ironia della sorte, egli alla fine manda il figlio in seminario convinto dal segretario locale del partito comunista: il seminario è infatti l’unico modo per permettere a Luigi di studiare. Nel 1956 quindi Zoppi diventa prete. Nel 1976 arriva a Livorno, dove tutt’oggi è attivo. Il prete, quindi, attraversa attivamente la storia recente della città. E fin dal suo arrivo incarna il suo ruolo con dedizione, con gli occhi sempre rivolti ai più bisognosi.
Negli anni Settanta la droga in Italia gira in abbondanza, e anche le piazze di Livorno diventano presto delle piattaforme di spaccio. L’eroina prima, e la cocaina poi, sono il centro della vita di molti giovani. Che don Zoppi fin da subito aiuta, con la creazione di una comunità dove, oltre a proporre valori alti e proposte di vita alternative rispetto alla via della droga, il prete tratta le persone come se fossero soggetti da aiutare, non derelitti da scartare, come gran parte della società all’epoca pensa. E quindi nella comunità che fonda il prete si cerca di dare ai ragazzi e alle ragazze un lavoro a misura d’uomo per garantire autonomia e indipendenza, e al contempo per riuscire ad affrontare le proprie fragilità attraverso una terapia di gruppo.
Alla fine degli anni Ottanta, poi, il prete fronteggia anche l’AIDS: l’epidemia arriva in città, e don Zoppi ancora una volta aiuta le persone che il resto della società, comprese le loro famiglie, marginalizzate. In zona “Tre Ponti” quindi apre un Centro Italiano di Solidarietà (Ceis) per le persone terminali, ma non lo rende un reparto palliative, ma una vera e propria casa-famiglia, dove anche la morte per la grave malattia assume una sua dignità. Emergenza dopo emergenza, dalla fine degli anni Novanta il prete affronta anche un fenomeno tutt’oggi non facilmente gestibile: l’immigrazione. Con uno spiccato spirito cristiano, don Gigi fa dell’accoglienza la sua missione: aiuta i profughi a procurarsi cibo, documenti, assistenza sociale. Ma soprattutto li aiuta a trovare una comunità. Comunità è la parola chiave che ha segnato l’operato di questo prete di strada: e per questo tutta la comunità livornese oggi gli è grata.
Fonti: Comune di Livorno, Il Tirreno, ANS