Carissimi Confratelli,

il Signore della Vita ha accolto nel suo abbraccio di pace il nostro Confratello Sacerdote don Alberto Rinaldini, ci lascia a 89 anni di età, 72 di professione religiosa e 60 di sacerdozio.

Breve profilo bibliografico

La Parola di Dio del giorno (lun XXVI sett. T.O.) è fonte di ispirazione per tracciare un profilo del nostro don Alberto, una parola che parla dei piccoli.

Come sempre diamo qualche notizia biografica del confratello. Don Alberto nasce a Spinello comune di Santa Sofia il 4 marzo 1933 da papà Cesare e mamma Pia. Dopo la scuola elementare nel suo paese, entra nel 1945 a 12 anni nell’aspirantato di Strada in Casentino dove frequenta la scuola media e il Ginnasio. Nel 1949 a 16 anni fa la domanda per entrare in noviziato “con il desiderio – leggiamo nella domanda – di dedicarmi al Signore per la salvezza dell’anima mia e di tanti giovani… pur conoscendo la mia indegnità spero che il Signore voglia concedermi questa grazia e Maria Santissima e don Bosco mi diano la forza di poter percorrere bene la via che desidero intraprendere”. Vive l’anno di noviziato a Varazze dal 1949 al ‘50 e nella domanda di ammissione ai voti esprime il bel desiderio di “essere libero dai lacci del mondo e offrirsi per sempre in olocausto a Dio!”; emette così la sua prima professione. Continua gli studi liceali a Roma San Callisto dal 1951 al ’53; svolge il suo tirocinio pratico prima a Genova Sampierdarena dal 1953 al ‘55 e poi ad Alassio nell’anno 1955-56. Nel 1956 dice il suo sì per sempre al Signore con la professione perpetua. Si legge nella domanda di ammissione: “in questi sei anni ho avuto modo di vivere in pieno la vita salesiana quasi in tutte le molteplici sue attività. Difficoltà ne ho incontrate e certamente andando avanti ne incontrerò sempre più gravi, ma spero con l’aiuto della Vergine di riuscire a superarle… da parte mia farò ogni sforzo per mantenermi sempre e dovunque vero figlio di don Bosco”. Interessanti le osservazioni di coloro che ne curano la formazione: “regolare nell’adempimento dei suoi doveri religiosi, laborioso, dotato di spirito d’iniziativa”. Dopo la professione perpetua studia prima filosofia a Torino Rebaudengo e poi teologia nella facoltà di Torino Crocetta dal 1958 al 1962. L’11 febbraio 1962 nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino viene ordinato presbitero. Dicono di lui i formatori che è “aperto, zelante ma un po’ indipendente”. Dal 1963 al ‘65 è insegnante ad Alassio, ma allo stesso tempo studia all’università di Genova conseguendo la laurea e l’abilitazione in Storia e Filosofia. Dal 1965 approda a Genova Sampierdarena, dove è vissuto ininterrottamente fino alla sua morte.

Il resto del racconto si svolge come una sinfonia di voci di tanti confratelli che hanno vissuto con don Alberto, di cui prenderò solo alcune note.

Ci ricorda don Franco Macrì che i primi anni di insegnante all’ITI di Sampierdarena, dove assieme ad altri “hanno contribuito a renderlo una scuola prestigiosa, ricercata dai genitori, stimatissima dalle Istituzioni civili e religiose, dall’Università e dalle grandi Aziende cittadine”. Dopo di che fu la volta dell’insegnamento presso le scuole statali e poi di nuovo il ritorno a Sampierdarena, come ricorda don Sauro Bertolozzi “dopo la sua esperienza di insegnante presso la scuola statale, prima al Liceo Scientifico Fermi e poi al Liceo Classico Mazzini, ha accolto ben volentieri la proposta di insegnare Storia e Filosofia al Liceo Scientifico di Sampierdarena”.

Accanto alla sua attività di insegnante don Alberto ha associato una grande attenzione al mondo della cultura e politica. Come ci ricorda don Sauro Bertolozzi, il Centro Cultura il Tempietto ebbe il suo inizio anche per suo interessamento insieme al compianto don Riccardo De Grandis e la rivista omonima. La rivista trattava vari argomenti, dalla cultura in generale, alla vita sociale, alla politica nel senso più alto del termine. La maggior parte degli articoli era di sua produzione. Sempre don Sauro ricorda un particolare importante che dice lo spirito con cui si dedicava a questa attività: “la sua attenzione era rivolta al debole per portarlo ad una maggiore consapevolezza delle sue potenzialità”. Ha continuato finché ha potuto a lavorare alla rivista Il Tempietto a cui aveva affiancato anche la pubblicazione di alcuni Quaderni. Uno di essi “Don Bosco e Genova” era stato presentato al Palazzo Ducale alla presenza dell’allora Rettor Maggiore don Pascual Chavez, anche lui resosi presente in queste ore con un ricordo. L’ultimo di essi era stato proprio un numero unico sul 150esimo dell’opera di Sampierdarena. È stata la sua ultima fatica.

Accanto al Tempietto dobbiamo ricordare l’Eco di Don Bosco, rivista con la quale teneva i legami con tutti gli Ex Allievi di Sampierdarena.

Molti hanno definito don Alberto un uomo di “passione”. Ricorda don Gino Berto: “ciò che lo caratterizzava era la passione con cui affrontava la vita, caratterizzata da un cuore gioioso, libero, amico. A vivere con passione talvolta si complicava la vita, ma aveva capito che era l’unico modo per amarla”. Mons. Lorenzelli ha elencato le sue passioni: passione per la sua terra e la sua gente; per i giovani; per la filosofia; per la politica; per la cultura (il Tempietto; l’Eco di don Bosco); per don Bosco; la passione sacerdotale.

Anche don Karim Madjidi lo ricorda come “Uomo appassionato dell’educazione, della formazione, della maturazione umana rispettando i valori e il cammino delle persone”. Proprio sul suo desiderio di cammino delle persone, circa il suo essere fratello in comunità ho anche io una testimonianza personale: mi ha sempre colpito come sapesse osservare bene i confratelli e coglierne i pregi e i difetti, con uno sguardo acuto e benevolo allo stesso tempo. Aveva acutamente osservato come per certi aspetti la comunità adesso, pur con tutti i suoi problemi, dal punto di vista della fraternità fosse forse migliore di quando era composta da 70 confratelli che però – tutti immersi nella missione – non riuscivano a condividere molto.

Era un salesiano tifoso di don Bosco ma anche un grande estimatore di don Albera, primo superiore di questa casa, che desiderava fosse ricordato, come il beato Filippo Rinaldi che pure era passato per Sampierdarena. Continuava a voler bene alla Congregazione, anche con il suo consueto spirito critico; voleva corresponsabilità vera, voleva piena applicazione dello spirito sinodale, desiderava che, come ogni giovane, anche ogni confratello potesse sviluppare a pieno le sue capacità nel servizio del Regno.

Come molti hanno osservato, non quindi era certo un confratello che viveva ripiegato nel passato. Scriveva sui social, era rimasto curioso e attento osservatore del dibattito culturale contemporaneo in cui volentieri entrava; e sempre una passione per i giovani, specie i più bisognosi. Don Marco Cimini annota: “dall’alto del ballatoio o camminando lentamente tra i cortili sempre uno sguardo verso i nostri destinatari, i ragazzi, che diventavano poi oggetto di dialogo, di confronto, di maturazione per il sottoscritto a seguito di sottolineature che mi faceva notare”.

Come ci ricorda con Luigi Dobravec: “Don Rinaldini anche se non è mai andato in missione ha avuto dentro di sé un vero cuore missionario. Era orgoglioso di poter vivere a Sampierdarena, nella casa salesiana voluta e fondata da Don Bosco, da dove sono partite le prime spedizioni di salesiani missionari”. Aveva accolto con favore l’arrivo della comunità dei latinos; ne era un grande estimatore. Don Massimiliano Civinini chiosa: “lascia sicuramente in molti un buon ricordo e un invito a fare cultura in un territorio bisogno di crescere culturalmente e nell’integrazione delle nuove culture e delle storie dei nuovi “genovesi” venuti da altre terre, come l’approfondimento della presenza salesiana in Sampierdarena”.

Del don Alberto sacerdote il ricordo di don Franco Macrì: “Era un giovane salesiano dal carattere vivace e brillante, pieno di entusiasmo e ricco di iniziative, sensibile al dibattito postconciliare dei grandi teologi e alle istanze socio-culturali di quel particolare ed irrequieto periodo storico segnato dalla contestazione globale giovanile. Lo ricordo laboriosissimo, disponibile verso chiunque avesse bisogno del suo aiuto, dotato di temperamento sanguigno, romagnolo, ma sempre rispettoso delle opinioni altrui e pronto a ricredersi. Era un sacerdote di grande e sincera fede, ma non declinata in modo pietistico e devozionale, legatissimo a Don Bosco, alla sua vocazione religiosa, alla migliore tradizione pedagogica salesiana”.

Ricorda don Massimiliano: “ho potuto sperimentare non solo la sua bontà tipicamente salesiana, ma anche la sua saggezza e sapienza nel dare consiglio”. E come ricorda don Maurizio Verlezza tra gli altri: “Non si tirava ma indietro quando c’era da confessare ragazzi e giovani”.

Una spiritualità forse poco appariscente, elemento tipico di una generazione di salesiani, ma certamente robusta come ricorda don Alfredo Fabbroni: “dimostrava un animo da fanciullo buono, disponibile, con una spiritualità profonda, semplice e popolare”.

Don Alberto stava rileggendo un’altra volta tutta la Bibbia.

Nella prima lettura di oggi vediamo la figura di Giobbe, all’inizio del suo calvario. Si tratta di una figura emblematica di come occorre affrontare il rapporto con Dio in tutte le situazioni, le belle e le brutte. Così ha fatto anche don Alberto. La sua salute è stata precaria negli ultimi anni con le sue corde vocali tanto affaticate, la voce che era stata il suo strumento per tutta la vita. Mi aveva detto serenamente l’ultima volta che ci eravamo visti: ho scritto il mio ultimo numero del Tempietto per parlare del 150esimo. Adesso mi preparo per l’ultimo libro, quello del viaggio verso il Padre. Con tutta serenità e tanta gratitudine.

E nel vangelo di oggi leggiamo dell’elogio della piccolezza. Don Alberto si è sempre posto con rispetto e umiltà verso tutti, sebbene dotato di una cultura e conoscenze non comuni, sapendo di aver sempre da imparare.

Si adatta bene a don Alberto il finale di questo brano di vangelo, in cui Gesù dice che “chi non è contro di noi è per noi”, ritenendo di fatto importante favorire tutte quelle manifestazioni di bene, anche se non direttamente marcate come cristiane. Segno della sua continua ricerca dei “semina verbi”, di cui parlava san Giustino, nella cultura contemporanea.

Se n’è andato in cielo in un giorno significativo, il 24 settembre: vigilia delle elezioni politiche, della 153esima spedizione missionaria a Valdocco e memoria mensile di Maria Ausiliatrice, nella cui Basilica era diventato prete e alla quale si era sempre affidato. Giorno di una sintesi felice per un figlio di don Bosco: sintesi tra cielo e terra, tra incarnazione e Resurrezione, tra chi sa di essere figlio dell’eternità destinato all’eternità e chi si impegna fino all’ultimo perché il Regno dell’Eterno si affermi su questa terra.