Published On: 23 Ottobre 2023
don Luigi Zedda

09/11/1940 | 21/10/2023

Annuncio

La comunità salesiana di Roma – Artemide Zatti e la Circoscrizione Salesiana “Sacro Cuore” – Italia Centrale

annunciano che

È ENTRATO NELLA VITA PIENA

LUIGI (GINO) ZEDDA salesiano presbitero

65 anni di vita religiosa 49 anni di ministero presbiterale morto il 21 ottobre 2023 a 82 anni d’età

I FUNERALI saranno celebrati lun 23 ottobre – h. 09,30 – Cappella Zatti mar 24 ottobre – h. 15,30 - Cagliari – Parrocchia San Paolo

La salma attenderà la resurrezione nella Cappella dei Salesiani del Cimitero San Michele a Cagliari

Biografia

Luigi (noto Gino) Zedda nasce a Gergei (NU) il 9 novembre 1940 da papà Antonio, agricoltore e mamma Ernesta Siddi, dedita ai lavori in casa. Insieme alle sue sorelle Rosa, Rita e Maria vive la sua Infanzia nel suo paese natale.

Quattordicenne entrò nella casa salesiana di Cagliari Don Bosco, nella quale si spendeva per i tanti servizi. «La sua vocazione – ricorda don Francesco Varese - nasce in questo oratorio, guidato da direttori di un calibro non indifferente come don Atzeni e don Gobbi, che hanno segnato la vita di tanti giovani». Affascinato dalla vita salesiana chiese di poter entrare in Noviziato nel 1956. Lo troviamo quindi a Lanuvio, dove fa la sua prima professione religiosa il 16 agosto del 1958, come salesiano coadiutore, con «l’unico desiderio di essere più vicino a Gesù e così potermi salvare l’anima più facilmente», scrive nella sua domanda di ammissione. I confratelli in quegli anni lo descrivono sempre come giovane disponibile e pronto al servizio e al tempo stesso sono preoccupati per la sua salute cagionevole. L’obbedienza lo vede per un anno a Roma-Mandrione e poi a Cagliari Don Bosco, impegnato nella cura dei vari ambienti della casa, in servizi semplici e preziosi come il guardarobiere e in oratorio in mezzo ai ragazzi, nel catechismo, nell’assistenza, nell’animazione dei gruppi (allora si chiamavano Compagnie), nella Segreteria della scuola e in Libreria fino al 1966. Nel 1964, alla vigilia della sua professione perpetua, scrive parole cariche di sapienza: «Ho fatto la prima professione in mezzo a tanto entusiasmo e fervore. Forse adesso tutto questo fervore non lo sento, però adesso la mia donazione posso dire di farla più completa».

In questi anni, forte dell’esperienza in mezzo ai ragazzi e vivendo la cura nell’accompagnamento del “piccolo clero” (il gruppo dei Ministranti, diremmo oggi) esprime più volte il desiderio di diventare prete e inizia a studiare, per conto proprio, un po’ di Teologia preparandosi a dare qualche esame. «Penso che sia proprio la presenza tra i ragazzi a far scoccare la scintilla del desiderio di orientare la sua vita verso il sacerdozio che viene abbracciato da lui come mezzo di apostolato tra i giovani», annota don Varese. Dal 1966 al 1970 presta il suo servizio a Roma Don Bosco come insegnante nella scuola elementare. È proprio qui che «essendo sempre vivo il desiderio di raggiungere il sacerdozio», chiede nel settembre 1970 di essere ammesso agli studi teologici, in vista dell’ordinazione presbiterale, che avviene – dopo gli studi teologici a Roma Testaccio - il 27 aprile 1974 per le mani di mons. Bonfiglioli, arcivescovo di Cagliari, nella parrocchia di San Vito a Gergei, lì dov’era stato battezzato 34 anni prima.

Dopo un anno al Borgo Ragazzi Don Bosco, per completare la Licenza in Teologia, il novello prete don Gino nel settembre 1975 viene mandato a Selargius come insegnante nel Centro di Formazione Professionale e consigliere. Dal 1979 incaricato della cappella ricavata da un vecchio mattatoio. La borgata di Santa Lucia, dove si trova l’opera salesiana, cresce sempre più e l’arcivescovo di Cagliari fondò una nuova parrocchia affidandola ai Salesiani nel 1983. Ne divenne fondatore e primo parroco don Gino che si spese per la costruzione della nuova chiesa e soprattutto della nuova comunità. «Conosceva tutti gli abitanti della parrocchia, uno per uno – ricorda don Mario Steri, allora aiutante - e li seguiva personalmente, tanto che, se qualcuno mancava una volta alla Messa domenicale, subito si preoccupava e gli chiedeva cosa fosse successo. Era stimato e amato da tutti. Ha portato una ventata di giovinezza e di entusiasmo: c’era davvero un bellissimo clima familiare sia in parrocchia che nella comunità salesiana».

Dal 1990 al 1997 l’obbedienza lo porta a dedicarsi ad un’altra parrocchia di periferia, N.S. del Latte Dolce a Sassari, prima solo come parroco, poi anche come direttore della comunità. Dal 1997 al 2002 ancora direttore e parroco ad Arborea e poi a Cagliari San Paolo, come guida della comunità religiosa e di quella parrocchiale. «Anche qui portò lo stesso entusiasmo e la stessa carica di iniziative - ricorda don Mario Steri – fino a rovinarsi la salute: il 5 febbraio 2006 è stato colpito da un ictus. Era un uomo semplice, con una grande forza di volontà: voleva impegnarsi sempre in tutto, riuscendo così a far fronte alle varie necessità. Nel suo cammino progressivamente è passato dall'essere famiglio, a coadiutore, a direttore, parroco, membro del Consiglio ispettoriale. Se dovessi caratterizzarlo con una parola direi che era un uomo di grande forza di volontà e di grande impegno cristiano, voleva bene sinceramente a Gesù e cercava di portare a tutti il messaggio evangelico». Aggiunge don Claudio Tuveri: «Mi ha sempre colpito la sua capacità di coinvolgere i laici, di accompagnare i gruppi e rendere operativo il consiglio pastorale e altri organismi di partecipazione. Sapeva trascinare nel bene, aveva il coraggio di fare proposte, di coinvolgere le persone a servizio della comunità. Era esigente nell’accompagnare i collaboratori con una formazione sistematica. In lui ho incontrato un salesiano sacerdote dal cuore buono e generoso». «Don Gino – prosegue don Antonello - ha vissuto il suo impegno di salesiano prete con una dedizione continua a coloro che gli sono stati affidati. Tante sono le iniziative che suscitava e accompagnava con zelo apostolico: la catechesi per gli adulti, la predicazione ad ampio raggio, l’attenzione ai lontani, i viaggi e i pellegrinaggi, curati e motivati per una crescita spirituale e non solo culturale».

La malattia lo costringe sulla carrozzina e nel febbraio 2006 viene trasferito spostato nella comunità di Selargius, dove una parte della casa è dedicata alla cura dei confratelli anziani ed ammalati. Continua a spendersi, pur nella sua fragilità, nella cura pastorale dando una mano in parrocchia: «La fragilità della malattia non lo ha abbattuto: ha saputo reagire e, finché ha potuto, con la sua carrozzina, ha girato per la borgata di Selargius per incontrare altri malati, oppure in parrocchia per accogliere le persone nel sacramento della riconciliazione. Don Gino ci lascia una bella testimonianza di amore e di servizio pastorale, le persone erano davvero al centro del suo ministero», ricorda ancora don Claudio. Rimane a Selargius fino alla chiusura canonica della comunità religiosa nel 2015, quando tutti i confratelli ammalati lì residenti vengono trasferiti nella comunità di Roma Artemide Zatti. «Anche qui a Roma – ricorda don Antonello Sanna - ha vissuto un’altra modalità di apostolato vissuta nelle sofferenza, nel dono di sé, sentendosi sempre attivo e disponibile (finché ha potuto) per il ministero, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice».

«Ha accettato la sua situazione – conclude don Varese - mantenendo sempre una serenità e un tratto cordiale con tutti. Era contento quando lo si andava a trovare e ti accoglieva sempre con un tratto gentile e con il sorriso sulle labbra. La sua è stata una vita veramente tribolata e a questa tribolazione penso che il Signore abbia legato la salvezza di tante anime che ricorrevano a lui per il ritorno all'amicizia con il Signore. Sono certo che il Signore non fa nulla a caso e il solco tracciato da don Gino sarà certo seme di vocazioni per altri giovani che vorranno seguire la vocazione salesiana».

Il Signore della vita gli è venuto incontro nella notte del 21 ottobre 2023.

Omelia

omelia del Vicario, don Michelangelo Dessì

Il mistero della morte e della resurrezione ha bussato alla porta del nostro caro don Gino e ne è stato fatto pienamente partecipe. La sua fede in questo mistero di morte e di gloria gli è stata accreditata pienamente, come giustificazione, come pienezza di vita di cui oggi gode con il suo Signore: è quanto abbiamo sentito dalla Lettera ai Romani. Non è stata accreditata la pensione sul conto o una vincita alla lotteria: nella fede di Abramo è stata accreditata la giustizia, la salvezza, la pienezza di vita, a lui e a noi, «a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore».

La Parola, che la liturgia ci ha messo nelle orecchie, illumina la realtà che stiamo vivendo e ci dona di guardarla dall’unico punto di vista dal quale come in un lampo appare sensata, orientata, compresa. Una vita abbondante, quella del nostro caro confratello, turbolenta, ricca di attività, di desiderio di lavorare per i giovani e le persone che gli sono state affidate, ricca anche di precarietà e di fatiche, provata dalla malattia. Eppure, piena: anch’egli, come Abramo, «pienamente convinto che quanto [il Signore] aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento». È la fede che guida ogni cristiano, consapevole della propria pochezza e al tempo stesso della grandezza del mistero nel quale siamo inseriti: quello della morte e resurrezione del Cristo.

Anche l’uomo ricco della parabola evangelica aveva sperimentato abbondanza di vita nell’abbondanza del racconto delle sue terre, ma non ne aveva capito il senso: aveva pensato che tutto quello fosse per sé, per il suo guadagno, per la sua “bella vita”. Don Gino ha sperimentato i suoi “magazzini” pieni di vita nell’oratorio di Cagliari Don Bosco, li ha sperimentati pieni nella sua giovinezza salesiana, pieni nel suo apostolato fecondo come formatore fra i ragazzi più poveri del centro di formazione professionale a Selargius, pieni nella vita parrocchiale nella borgata di Santa Lucia, come a Sassari, Arborea e a Cagliari San Paolo. Avrebbe potuto, come l’uomo ricco del Vangelo, considerare tutto questo frutto della sua bravura, attribuendo a sé i meriti per il buon raccolto, piegandosi alla mentalità dell’uomo che si fa da sé, quella mentalità mondana che ci separa dal vero Padrone del campo. Ha continuato – invece - ad essere il servo buono e fedele, che in qualunque situazione della vita sa di essere “solo servo, semplicemente servo”, continuando a donare a piene mani quella Misericordia che aveva sperimentato su di sé, rendendo così la sua una “vita bella”.

Sì, la Parola ci costringe a fare verifica sulla nostra vita, sulla ricchezza della nostra vita: di fronte a chi ci stiamo arricchendo? Siamo ancora schiavi del parere degli altri, degli applausi delle folle, della stima del mondo? Dove stiamo accumulando i nostri tesori?

Abbiamo un unico tesoro, un’unica “vita bella”, ci ricorda Paolo, ci ricorda Abramo, ci ricorda Gesù: quello di essere stati innestati pienamente in quella Vita senza fine, in quel mistero di morte e resurrezione, che ci dona abbondanza di vita su questa terra (e la biografia di don Gino ce lo dimostra apertamente) e pienezza di vita in Cielo. Abbiamo un unico tesoro che non è prodotto delle nostre mani, ma straripante abbondanza della Sua Misericordia nei nostri confronti. Non solo per noi, ma prima di tutto per gli altri. Altro che riposarci, mangiare, bere e darci al divertimento (la “bella vita”) altro che magazzini da abbattere per costruirne di più grandi: la vita del cristiano e ancor più del consacrato gode di questa pienezza nella misura in cui continua ad essere dono per gli altri, nella pienezza delle attività di un centro professionale o di una parrocchia, così come in un confessionale, bloccato per metà su una carrozzella.

Grazie, Signore, perché hai fatto risplendere in don Gino la pienezza della tua vita, donata fino all’ultimo respiro, rendendola “bella”, perché da te abitata. Amen.