La separazione dalla società, dalle relazioni, dalla possibilità di realizzare se stessi: a volte basta poco per sentirsi tagliati fuori da tutto. Eppure, in mezzo a questo smarrimento, spesso c’è una mano pronta a rialzare chi è sopraffatto dal peso della vita. Questa mano, per tanti giovani, è quella di un sacerdote, come quella che tanti anni fa don Giovanni Bosco tesa con amore e carità.  In ogni angolo del globo, i volti dei ragazzi che passano davanti ai murales con il suo viso, si intrecciano con storie di speranza e recupero. Un esempio di ciò è il Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma, dove troviamo Miriam.

Miriam è nata da genitori egiziani che l’hanno cresciuta in un ambiente bilingue, ma la sua crescita non è stata priva di difficoltà. La madre ha incontrato problemi di salute e il padre era spesso lontano per motivi di lavoro. Con l’arrivo di tre fratelli, Miriam ha sentito sulle sue spalle il peso delle responsabilità familiari. Quando è arrivata al Borgo su indicazione dei Servizi Sociali, la coordinatrice le ha chiesto: «Cosa vuoi fare?» «Vorrei fare l’adolescente», ha risposto lei. E questo è stato esattamente quello che ha vissuto. A soli 15 anni, Miriam ha iniziato il suo cammino al Borgo Ragazzi Don Bosco, una comunità semiresidenziale nata con l’intento di favorire un percorso educativo continuo e lento. Non sono mancati i momenti di ribellione: «Volevo stare a casa e vivere come volevo», ricorda. Ma gradualmente ha cominciato a rendersi conto di come l’ambiente la stesse cambiando: «Per la prima volta vedevo una comunità che mangiava insieme, si aiutava e giocava insieme». Questo piccolo angolo di normalità, in contrasto con le difficoltà della sua vita precedente, è diventato per lei un “pezzo di Paradiso”, dove, nonostante le sfide, il bene si fa strada, come diceva don Bosco.

Con il tempo, Miriam ha trovato spazio per studiare e si è diplomata con il massimo dei voti. La sua determinazione non si è fermata: il sogno di entrare a Medicina l’ha portata a provare diversi test d’ingresso. Dopo qualche tentativo, ha scelto di studiare farmacia per un anno, ma il suo spirito combattivo l’ha spinta a trasferirsi in Bulgaria, dove ha iniziato il corso di Medicina presso l’Università di Plovdiv. Dopo tre anni di studi, ha ottenuto delle importanti soddisfazioni e ha avuto la possibilità di trasferirsi all’Università di Cagliari. La vita di Miriam da fuorisede è stata segnata dalla gioia di portare con sé i valori di comunità che aveva imparato al Borgo. «In Italia ho trovato lo stesso spirito di condivisione che avevo visto nel Borgo, con l’entusiasmo degli italiani che organizzano cene e momenti di socializzazione», dice. Se non avesse incontrato i Salesiani, forse non avrebbe saputo come vivere al meglio questi momenti di comunità. Anche a distanza, il rapporto con la famiglia si è rafforzato: «Ci ha insegnato a esprimere il nostro affetto», riflette Miriam.

Il Borgo Ragazzi rimane un punto di riferimento importante, soprattutto nelle sue relazioni con le educatrici che, nel tempo, sono diventate figure di sostegno. Don Bosco è per Miriam «una spalla» su cui contare, un «nido» dove può sempre tornare quando ha bisogno di serenità e di forza. E siamo sicuri che anche a Cagliari, tra i muri dell’Università e nella casa salesiana, Miriam possa trovare un luogo che rispecchi quello che ha conosciuto al Borgo: un cortile con il volto di don Bosco, pronto ad accoglierla di nuovo.

 

Fonte: Avvenire