Published On: 13 Maggio 2020

Pubblichiamo la testimonianza di Anna Sansoni, Infettivologa c/o l’Ospedale di Siena e di Andrea Lapi Internista c/o l’Ospedale di Siena; Salesiani Cooperatori all’Oratorio La Magione di Siena pubblicata sul sito dell’Ispettoria Italia Centrale.

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Ubbidisco piano alla richiesta delicata di una testimonianza di questi due mesi e mezzo in compagnia del Coronavirus-19 e mentre inizio a scrivere, mi sale il nodo alla gola e mi si appannano gli occhi: mi sorprende questa reazione, ma la accolgo. Sono circa tre settimane che cerco di apprestarmi a scrivere; riesco a farlo solo oggi, dopo un incontro benedetto su zoom con i giovani universitari dell’Oratorio, guidati da don Emanuele per una lettura di questi nostri tempi in compagnia dei discepoli di Emmaus.
“Manda la tua luce e la tua verità, siano esse a guidarmi” Sal 42

Da infettivologa ho osservato COVID-19 da lontano, ai tempi della Cina, sospesa come tutti sul futuro: si sarebbe arrestato come SARS e MERS, sue cugine di primo grado, oppure ci avrebbe travolto come stava accadendo in Cina? Ad un certo punto della sorveglianza, mi è stato chiaro che sarebbe arrivato in Italia, e anche al nostro Ospedale di Siena. E’ stato un “avvistamento” graduale che mi ha consentito di preparare il cuore ai giorni futuri, fino all’impatto d’urto previsto ed atteso. Uno sguardo diretto ed intenso di un amico, senza dirsi parole, aveva colto, che di lì a poco ci sarei stata in mezzo. L’ultima liturgia comunitaria a cui ho potuto partecipare, la liturgia delle Ceneri, ha preceduto di poche ore il mio distacco dalla famiglia e dall’oratorio, con l’intento di proteggere le persone a cui volevo bene da un eventuale contagio che potesse dipendere da me, come è stato per molti altri sanitari. E’ stato uno strappo forte, una vera quaresima nella quaresima, un digiuno dagli affetti e dalle relazioni più feconde ed intime. L’ho accolto e consegnato al Signore. Ho scritto al mio parroco e amico “ho con me tutto ciò che mi serve, il Signore, la Parola, il vostro affetto”. Non potendomi confessare dal mio direttore spirituale né dal mio parroco a causa del lockdown ho cercato il cappellano dell’Ospedale per mettermi in Grazia di Dio. Ho portato con me poche cose a cui proprio non potevo rinunciare: tra queste la Bibbia, il mio rosario e alcuni libri di don Bosco che mi avrebbero fatto compagnia. Per il primo mese ho vissuto senza la presenza della mia famiglia, con Gesù nel cuore, la compagnia della Parola quotidiana offerta dalla Chiesa mia madre, il timone di Papa Francesco con la Messa del mattino, la guida dolce e forte del mio direttore spirituale nei momenti più duri; ho lavorato intensamente, studiato il COVID-19 durante il riposo, pregato il Signore perché mi desse il suo sguardo e solo il suo sguardo nel leggere gli eventi.

I giorni successivi ci hanno visti travolti dagli eventi. I malati arrivavano quasi sempre nel cuore della notte, con il buio, quando le energie sono più fragili e le forze più esauribili. Strappati dalle loro famiglie, non vi era possibilità di visite, non volti amici, non contatti diretti, non il conforto di confessione o Eucaristia in momenti che potevano essere gli ultimi della vita; solo la nostra mediazione, privata però di ogni tratto umano visibile, attraverso i dispositivi di protezione individuale, la voce artefatta, lo sguardo dietro una visiera spesso appannata. L’impiego di strumenti sanitari massimali, respiratori, cateteri venosi centrali, pompe, necessari per il recupero della salute violavano i loro corpi sofferenti. Le lacrime degli infermieri, angeli benedetti piegati dalla fatica e dall’oggettivo impatto emotivo, si aggiungevano allo sgomento dignitoso dei pazienti. A fine visita contattavamo ad uno ad uno i familiari, per dare notizie, per confortare clinicamente quando era prevedibile il recupero, per sostenere sempre umanamente: “non vi preoccupate, voi non potete essere qui, ma noi siamo vicini, non li lasciamo, siamo con loro, accanto, insieme, lottiamo con loro e ce la mettiamo tutta per rimandarli da voi”. A fine telefonata ci lasciavano grati. Alcune volte ho pianto: era fortissimo il dolore che vedevo intorno a me e disumana la condizione dei pazienti. Ho accolto e consegnato al Signore. Era quaresima. Nel messaggio di un consacrato condiviso dal mio collega e amico era racchiuso tutto.“Nella via dolorosa di Gesù al calvario che meditiamo in questo tempo di quaresima, una donna Veronica asciugò il volto insanguinato del Signore e un uomo Simone di Cirene lo aiutò a portare la croce . Oggi in questa dolorosa via crucis della nostra patria siete voi, cari medici, cari infermieri, OSS , volontari e addetti alla sanificazione a svolgere questo compito di consolare e di aiutare a portare questa pesante croce. Cristo e la sua madre addolorata ve ne sono grati e soffrono insieme a voi. Non vi sentite soli in questa vicenda misteriosa che cambierà il mondo. Quando vi sentirete scoraggiati e oppressi da questo peso, saranno loro ad asciugarvi il sudore e a riprendere la croce. Gesù Eucaristia presente nella cappella del vostro ospedale è la fonte della vostra forza e del vostro coraggio. Vi affido al cuore immacolato di Maria perché vi protegga e vi custodisca voi e i vostri cari” (1). Ancora la consolazione da parte di un uomo di Dio e la conferma del cuore che non ci serviva niente altro: solo rimanere abbracciati all’Eucaristia, saldi nel Signore, fermi nella Speranza di Lui nostra fortezza.

Una mattina in reparto ho trovato tra i ricoverati in insufficienza respiratoria, un mio amico, uomo di grande fede, già provato dalla malattia prima del COVID-19. Non avevo ancora riflettuto sulla possibilità di dover accompagnare un amico in questo percorso e temevo di perderlo. Se peggiorava ancora, nessuno lo avrebbe intubato, in considerazione delle sue condizioni di base: dovetti dirlo alla famiglia con grande dolore. Tutte le mattine si faceva strada in me il desiderio forte di portargli almeno il conforto dell’Eucaristia, ma io non sono ministro dell’Eucaristia, lui era in Insufficienza respiratoria e i cappellani non potevano entrare. Spessissimo durante la giornata pregavo così: “Signore, se vuoi entrare qui dentro, devi farcelo capire”.

“Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete?” Is 43,19

Ha cominciato a farsi strada in me il pensiero, che quello che all’inizio poteva sembrare solo un pericolo, un dolore, un’immensa fatica, era forse un privilegio assoluto agli occhi del Signore e ho sentito la leggerezza di essere grata.

Dopo un mese di lavoro, i malati aumentavano ed occorreva reclutare altri specialisti per costruire un team di lavoro multidisciplinare. Andrea, mio marito, internista, è sceso a lavorare in COVID. E’ stato per me il momento più difficile, avrei voluto proteggerlo, difenderlo, tutelarlo. “Stolta e tarda di cuore nel credere”….dopo 48 ore di lotta interiore ho accolto e consegnato. Si è allontanato anche lui dal resto della famiglia e mi ha raggiunto. E’ iniziato un periodo di lavoro faticosissimo ma sottoposto ad un ritmo coniugale sacro, calmo, stabile, dolce e sicuro, scandito dall’Eucaristia, dalla meditazione della Parola, dal Buongiorno col Vangelo, la Novena a Maria Ausiliatrice….tutto ancora più bello e forte, con la candela accesa della preghiera e della speranza. Mai stato così bello e dolce. Intanto i nostri figli, ormai giovani-adulti, tra lavoro e studio facevano da fortezza alla nonna di 94 anni, sollevandoci dalla preoccupazione per le cure ai grandi anziani di casa, portandoci cene da asporto, simbolo della cura nella fatica. La percezione era che ognuno stesse cercando di svolgere con docilità e amore il proprio compito. Eravamo grati.

Continuavo a pregare perché almeno per Pasqua i pazienti COVID che lo desideravano potessero ricevere l’Eucaristia. “Mio Signore e mio Dio” Gv 20,28 . Essere raggiunti dal Signore, dove la legge non consente neppure ai familiari di entrare, sarebbe stata la consolazione più grande, avrebbe dato al loro cuore la certezza di essere amati dal Signore senza misura, sarebbe stata Pasqua per primi per loro. Il sabato Santo sono stata contattata da una collega Anestesista, Ministro Straordinario dell’Eucarestia. Ci siamo organizzate rapidamente e con l’aiuto dei cappellani dell’Ospedale e del mio amico e collega che era di turno, nel giorno di Pasqua il Signore ha raggiunto i malati in reparto COVID. E’ stata una consolazione grande, una carezza e una gioia immensa, manifestata con gratitudine dai paziente stessi. Ed è un fatto che quando il Signore vuole una cosa, quella cosa si compie, attraverso mani e volti che “ragionano come Giovanni, con l’intelligenza del cuore” (2) Il mio amico e collega ha scritto il giorno di Pasqua: “Oggi in corsia abbiamo avuto la possibilità di “prescrivere” Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo , unica speranza e salvezza dei nostri cuori, della nostra anima e di ogni malattia. Grazie a voi, con stima e riconoscenza”. Un altro amico e collega Rianimatore si era affiancato al percorso, eravamo in quattro. Alcuni giorni dopo il nostro Pastore, Arcivescovo Augusto Paolo Lojudice, ci incontrava, conferendoci in un clima di familiarità e preghiera, il mandato “ad Actum” di Ministri Straordinari dell’Eucaristia, perché in questa pandemia, non abbia mai a mancare ai più fragili il vero Pane di vita.

Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime” 1 Pt . Il nostro cuore finalmente riposava e non era più una intuizione, ma una certezza dell’anima, che la presenza in reparto COVID è un privilegio.

Non è qui. E’ risorto”Mt 28,6

Col passare dei giorni la tensione si è allentata, l’organizzazione è diventata sempre più solida, le condizioni di molti malati si sono stabilizzate, abbiamo potuto rimandare alle loro famiglie molti pazienti. Il momento della dimissione è stato spesso un atto di amore reciproco bagnato dalle lacrime della gioia e della gratitudine. Non abbiamo mai potuto abbracciarci ma avevamo raggiunto l’unità dei cuori.

Anche il mio amico, che avevo temuto di perdere, è stato dimesso da Andrea in tempo di Pasqua. Molta Chiesa di Siena aveva pregato per lui. Questo un suo pensiero: “Il diluvio di preghiera che si è rovesciato su di me , mi ha tratto fuori dalla secca del torrente e spinto verso la foce della salvezza. Il vento dello Spirito mescolato alle vostre preghiere mi ha allontanato dal centro della bonaccia. L’amore che reggeva il timone mi ha condotto al porto della mia sicurezza. La comunione dei Santi ha innalzato con voi un coro alla potenza, misericordia, bontà di Dio per me che sono un povero peccatore. Ma chi capirà mai quanto la misericordia di Dio supera i nostri pensieri?”. Il Signore gli si è fatto compagno di viaggio e non lo ha mai lasciato solo.

“Vicino o lontano io penso sempre a voi” Don Bosco 10 maggio 1884

In questo tempo ho vissuto in un mondo parallelo, ma “vicino o lontano ho pensato sempre a voi miei cari giovani” anche se solo raramente e quasi mai in tempo reale ho potuto comunicarvelo. Non vi ho pensato per le attività che non potevamo fare, per la porta temporaneamente chiusa dell’oratorio o per le tante occasioni di vita pastorale che apparentemente stavamo perdendo. In questo paradossalmente sentivo di poter riposare: lo Spirito stava suscitando una fioritura di iniziative di preghiera ed eventi pastorali inimmaginabili, bellissimi con una creatività che solo l’amore sa generare. La vostra energia e il vostro cuore sono stati esplosivi anche in tempo di pandemia così come la vostra docilità agli eventi è stata rassicurante. Questi tempi, sono una prova durissima ed estrema per l’umanità e per il mondo, per le famiglie e per ognuno di noi seppur in misura diversa, ma non sono tempi di morte spirituale. Mano a mano che vedevo fiorire in COVID cose nuove, intuivo che lo stesso stava accadendo all’aria aperta, sotto la guida del Signore; bastava desiderarlo, cercarlo, volerlo e chiedere occhi in grado di vedere le novità che lo Spirito ci stava preparando.

Vi ho pensato invece, con maternità spirituale, sui “fondamentali della vita” chiedendomi se vi avevamo passato le coordinate con fedeltà o vi avevamo tradito, edulcorando il messaggio. Mi sono chiesta se ci siamo fatti le domande giuste e se abbiamo preparato bene il bagaglio a mano per il viaggio, mettendo dentro tutto ciò che ci serve per curare le ferite e affrontare un percorso di perdite che, prima o poi nella vita ci raggiunge e non ci permette la fuga. Mi sono chiesta se abbiamo chiaro in pratica, qual è la nostra destinazione. L’impatto durissimo della pandemia, ci viene in aiuto per prendere coscienza di tutto questo e proprio su questo don Bosco non si lascia vincere in chiarezza e non lascia spazio al “rispetto umano”. Vorrei che insieme cercassimo il senso profondo di quello che stiamo vivendo e che con il Signore per compagno di viaggio si aprissero i nostri occhi e ricolmi di gioia tutta salesiana, facessimo ritorno verso Gerusalemme con Gesù nel cuore.

Quest’anno credo che non sarà possibile fare il campo in montagna a Les Combes, in Valle d’Aosta, come avevamo programmato, ma ugualmente sogno un campo in cui possiamo cantare insieme la bellezza della vita e del Paradiso.

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