I Salesiani di Cagliari hanno celebrato la Dedicazione dell’altare della nuova Cappella della comunità salesiana “Nostra Signora di Bonaria, con l’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi.
Nella serata di venerdì 11 ottobre 2024, la comunità salesiana “Nostra Signora di Bonaria” di Cagliari ha vissuto una bella, ricca, semplice e intima Celebrazione Eucaristica durante la quale l’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi ha dedicato l’altare della nuova cappella della comunità.
Durante la breve omelia l’arcivescovo ha innanzitutto ringraziato i confratelli per averlo invitato a vivere insieme il momento liturgico durante il quale si dedica a Dio un altare e l’intera Cappella.
«Le letture proclamate e l’arte di questa cappella ci mettono di fronte ad un’evidenza massima, com’è stato spiegato: la realtà della prossimità divina in Gesù Cristo: un Dio assolutamente grande che sceglie di diventare nostro amico, nostro ospite, nostro fratello. È qui, è vicino, è in noi e al tempo stesso immensamente più di noi. Era lo stupore di Salomone, che – come abbiamo sentito – edifica il tempio di Gerusalemme, fatto per incontrare Dio, ma che non poteva racchiuderlo, catturarlo. Era possibile incontrarlo, ma non prenderlo per sè. Per cui incontrare Dio doveva significare inevitabilmente aprirsi ad una presenza ulteriore, da riconoscere nei fratelli, nel popolo, nei segni del Creato, nei segni potenti nella storia. (…)
Un luogo in cui incontrare Dio e aprirsi alla sua presenza così eccedente, così incredibilmente pervasiva e capillare rispetto ad ogni aspetto dell’esistenza. Abbiamo sentito che questo è – con l’invio dello Spirito – il vero modo di adorare Dio: non in un luogo, ma nella persona stessa di Gesù, in cui il Padre abita corporalmente e in pienezza. Ciò che prima era il tempio adesso è la presenza stessa di Gesù: la sua Parola e il suo Corpo per noi consegnato sulla croce, albero di vita. Per cui incontrandoci qui non possiamo non avere evidenza della presenza di Gesù Cristo, come il luogo in cui abita corporalmente la pienezza della vita nella sua resurrezione, significa che adesso questa abitazione raggiunge tutti i tempi e tutti gli spazi. È risorto per non farsi contenere nelle Palestina di duemila anni fa, ma per investire della sua presenza ogni luogo, ogni casa, ogni uomo, ogni angolo del mondo, ogni frammento di bene.
Un ultimo pensiero. Così come ci veniva spiegato, ogni particolare qui è stato pensato in funzione della presenza di Gesù Cristo, della memoria della sua morte e resurrezione, nell’attesa della sua vita. Chiunque entra qui comprende che c’è un centro e che tutto il resto è in funzione di questo centro: un pezzo di edificio che non ha altra ragione che la presenza di Gesù che qui viene pregato, celebrato e poi assunto per essere nutrimento della nostra vita. Ma il vero culto spirituale è che ciò possa dirsi della nostra esistenza individuale, personale e della nostra comunità: noi ci siamo solo perché c’è Lui, solo in funzione della presenza di Cristo, solo per poter cercare di riconoscerlo, celebrarlo, testimoniarlo nell’amore ai più piccoli, ai nostri ragazzi in modo assoluto.
E così è la testimonianza cristiana: che gli uomini possano – come abbiamo sentito nella seconda lettura – guardarci e dire [di noi]: “ci sono e sono così capaci di condivisione, capaci di ascolto della Parola, lieti e accoglienti! E non c’è altra ragione che la presenza di Gesù fra di loro”. Siamo Cristo, gente che porta Cristo nella propria umanità trasfigurata, ma non perché siamo angeli! Perché siamo per Lui, viventi per Lui, che in fondo è la vera definizione del culto: viventi per Gesù Cristo, nel Padre».
Presentazione della Cappella
Con il trasferimento al terzo piano degli ambienti di quella che era allora la comunità salesiana Don Bosco, si decise di riservare un ambiente alla Cappella della comunità religiosa, che permettesse ai confratelli di avere un luogo riservato alla preghiera al piano della vita della comunità. Come salesiani eravamo formati anche dall’architettura delle nostre case a pensare la nostra vita totalmente in comunione con quella dei ragazzi, specie in quelle case che avevano gli internati e i collegi. Oggi le mutate condizioni della vita pastorale e religiosa suggeriscono altre forme, che vengano maggiormente incontro alle necessità dell’età avanzata dei confratelli. Insieme ai confratelli del Consiglio locale e all’ing. Stefano Onnis (a cui era stata affidata anche la progettazione dei lavori delle facciate della scuola), si iniziò nel 2018 a dare forma all’idea di una nuova Cappellina. Ma varie vicissitudini, e soprattutto i pochi denari a disposizione, ritardarono e allungarono i tempi di realizzazione, di quella Cappella, di cui oggi andiamo a dedicare l’altare.
Le scelte, passo passo condivise con la comunità, vedono oggi un ambiente caldo ed accogliente costituito da un presbiterio leggermente rialzato che richiama nella forma un catino absidale sul quale campeggia un ricco “affresco”. Opera del giovanissimo artista sangavinese Giacomo Putzu (coadiuvato nella realizzazione da Riccardo Pinna), il murales ricopre tutta l’abside e rivisita in chiave moderna uno dei catini absidali romanici più antichi della cristianità, quello mosaicato della Basilica di San Clemente Romano.
L’artista ha saputo interiorizzare e dare nuova forma al mistero rappresentato, quello della Croce, albero di vita, che per la potenza della resurrezione di Cristo invade la storia e l’universo, raggiungendo con la sua linfa vitale ogni angolo del creato e dell’umanità. Esattamente come il credente del Medioevo, anche coloro che qui celebreranno l’Eucarestia, saranno sostenuti dall’Arte nel meditare il mistero celebrato sull’altare: quello della passione, morte e resurrezione del Signore. La ricchezza dei dettagli floreali e faunistici ci riportano alle contemplazioni di Genesi e del Cantico dei Cantici; la presenza dei santi (e in particolare di don Bosco) ci dona di meditare le meraviglie che il buon Dio opera del cuore di ogni credente; il torrente d’acqua che sgorga dal luogo in cui la croce è innalzata richiama al fedele quell’immensa distesa di acque salutari che escono dal tempio di Gerusalemme nella visione di Ezechiele (Ez 47, 1-12) e alla cui freschezza è chiamato a dissetarsi, come la cerva cantata nel Salmo 42.
Le forme e le dimensioni dell’altare suggeriscono l’importanza e la centralità della celebrazione eucaristica, culmen et fons della vita della Chiesa. Da qui è infatti generata quotidianamente la Chiesa stessa, la comunità religiosa, l’intera comunità educativa pastorale. L’altare, segno di Cristo stesso, altare, vittima e sacrificio, realizzato in biancone di Orosei da maestranze locali, tende con le sue linee essenziali e semplici verso l’ambone da cui il Cristo Parola vivente è proclamato Signore della storia. Posto al centro della piccola aula liturgica il luogo della proclamazione della Parola chiede al discepolo di ogni tempo di “ascoltare la Parola” perché sia messa in pratica.
Sotto l’altare è collocata una reliquia insigne ex ossibus del martire Titus Zeman, salesiano presbitero, slovacco, morto a causa delle torture subite dal regime comunista nelle carceri cecoslovacche. Educatore della gioventù e apostolo delle vocazioni si spese con coraggio per consentire ai giovani salesiani di salvarsi dai campi di concentramento sovietici. Intorno alla reliquia un’opera in vetro, con linee della tradizione sarda, dell’artista locale, Alessandro Aresu.
Il pavimento in rovere (donato dalla famiglia Fradelloni) si lascia attraversare dal bianco di Carrara che descrive una croce e conduce verso il presbiterio.
Alle pareti, appoggiate come vuole la tradizione orientale e avvolte dai tralci che dall’albero di vita si prolungano, le quattro preziose icone, realizzate dalle Figlie di Maria Ausiliatrice della comunità di San Biagio a Subiaco, rappresentano i quattro santi patroni della Congregazione Salesiana, Maria Ausiliatrice, nelle forme orientali della Theotokós, il fondatore San Giovanni Bosco, San Giuseppe e il vescovo di Ginevra, San Francesco di Sales.
Gli scranni in legno di rovere sono stati appositamente disegnati e realizzati da Matteo Congiu, giovane designer e imprenditore di Senorbi e disposti a coro, come già presenti nella cappella dell’Istituto, a ricordare la Liturgia delle Ore che scandisce i ritmi della vita comunitaria e fraterna. Lo studio illuminotecnico è stato realizzato dall’ing. Sandro Mancosu, i lavori edili dall’ing. Mauro Spiga e i suoi operai, gli impianti elettrici da Mario Pinna Nossai. I marmi sono stati lavorati dalla ditta Marini & Tanas di Serrenti. Il murales nasconde una semplice dedica a Teresa Reina Dessì, alla cui memoria la famiglia ha donato i denari necessari per l’intera Cappella, perché in essa una volta all’anno si celebri l’eucaristia in suo suffragio.
Commento teologico del catino absidale di San Clemente Romano
Se, provenendo dall’atrio, che con il suo colonnato e la fontana nel mezzo ci ricorda l’impianto dell’antica casa romana, entriamo nella chiesa romana di San Clemente, così ricca di memorie storiche, lo sguardo resta subito rapito dal grande mosaico absidale, col suo sfondo aureo e con i suoi splendidi colori. Il nostro occhio rimane infine catturato dalla croce raffigurata proprio al suo centro: Cristo ha piegato il suo capo e ha consegnato il suo spirito nelle mani del Padre. Dal suo volto, da tutta la sua figura promana una grande gioia. Se volessimo cercare un titolo per questa rappresentazione del Crocifisso, ci sovvengono immediatamente parole come riconciliazione, pace. Il dolore è vinto; nulla comunica ira, amarezza, accusa nell’immagine. Qui si rende plasticamente visibile la parola biblica, per cui l’amore è più forte della morte. Ciò che vediamo non è infatti propriamente la morte: vediamo l’amore, che non è stato vinto dalla morte, ma che per mezzo di essa è stato pienamente manifestato. La vita terrena è spenta, ma è rimasto l’amore. Per questo nella scena della crocifissione si palesa già la risurrezione.
Se sostiamo ancora un poco davanti al mosaico, osserviamo che questa croce è in realtà un albero, da cui scaturiscono quattro sorgenti di acqua, presso le quali dei cervi si dissetano; il pensiero va allora ai quattro fiumi del paradiso e ci rammentiamo della parola del Salmista: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio!» (Sal 42,2). L’albero che viene dalle acque della vita è a sua volta fecondo: notiamo ora che il florido rampicante che riempie tutta la larghezza dell’immagine non è un semplice ornamento; è una grande vite, i cui tralci si dipartono dalle radici e dai rami dell’albero della croce. Con ampi e complessi movimenti questi tralci si allargano fino ad abbracciare tutto il mondo e lo sollevano verso l’alto. Il mondo stesso diventa un’unica grande vigna. Tra i suoi tralci e in mezzo alle sue tortuosità si muove tutta la pienezza dell’esistenza storica. Il lavoro dei pastori, dei contadini e di monaci, animali e uomini di ogni genere, tutta la colorita molteplicità del reale è raffigurata in immagini colme di fantasia e gioia di vivere.
Ma c’è ancora qualcosa: la croce non cresce solo in larghezza. Ha una sua altezza e una sua profondità. Abbiamo già visto che essa affonda le sue radici fin dentro la terra, la abbevera e la fa fiorire. Ora dobbiamo ancora guardare alla sua altezza: dall’alto, proveniente dal mistero stesso di Dio, la mano del Padre si protende verso il basso. Così il movimento entra nell’immagine. La mano divina sembra, da una parte, scendere lungo la croce dall’altezza dell’Eterno per portare al mondo vita e riconciliazione. Ma, allo stesso tempo, essa attira verso l’alto. La discesa della bontà di Dio coinvolge tutto l’albero con tutti i suoi rami nell’ascesa del Figlio, conducendolo dentro la dinamica del suo amore che porta verso l’alto. Dalla croce il mondo trae il suo movimento verso l’alto, verso la libertà e l’ampiezza delle promesse di Dio. La croce realizza una nuova dinamica: il cerchio che gira eternamente e vanamente intorno al sempre uguale, l’inutile movimento dell’eterno ritorno è così spezzato. La croce che trae verso l’alto è insieme il gancio, l’amo, con cui Dio solleva il mondo intero fino alla sua altezza. Ora la linea della storia e della vita umana non è più circolare, ora essa sale: ha ricevuto una meta, e sale con Cristo fin nelle mani di Dio.
Adesso però dobbiamo chiederci: tutto questo c’è davvero? O è solo una delle tante utopie che non si sono mai realizzate, con cui l’umanità ha cercato di consolarsi con la mancanza di senso della propria storia? C’è qualche realtà dietro questa immagine? Può esserci il mondo riconciliato che è divenuto il grande paradiso della vita? Due riflessioni possono aiutarci nel trovare la risposta. Non senza ragione l’artista ha scelto l’immagine del mondo come vigna di Dio che cresce dalla croce. Egli pensa alla parola di Cristo: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5). La croce come vite ci rinvia dal mosaico fino all’altare, posto al di sotto di esso, in cui il frutto della terra continua a venir trasformato nel vino dell’amore di Gesù Cristo. Nell’Eucaristia la vigna di Cristo cresce in tutta l’ampiezza della terra. Nella sua celebrazione, estesa a tutto il mondo, la vigna di Dio allunga i suoi tralci al di sopra della terra e solleva la sua vita nella comunione con Cristo. In questo modo l’immagine ci mostra la via che conduce alla realtà e ci dice: lasciati prendere nella vigna di Dio. Consegna la tua vita al santo albero, che cresce, sempre nuovo, dalla croce. Diventa tu stesso uno dei suoi tralci. Mantieni la tua vita nella riconciliazione che viene da Cristo e lascia che egli ti sollevi verso l’alto.
Quando venne realizzato il mosaico absidale di San Clemente non c’era ancora la festa del Corpus Domini. Ma il senso di questo giorno vi è meravigliosamente raffigurato. Quell’immagine mostra infatti come l’eucaristia abbracci il mondo e lo trasformi. L’eucaristia non appartiene solo allo spazio architettonico dell’edificio ecclesiale e neppure a una comunità chiusa in se stessa. È il mondo che deve diventare eucaristico, deve abitare nella vigna di Dio. Ma proprio questo è il Corpus Domini: celebrare cosmicamente l’eucaristia; portarla una volta sulle nostre strade e sulle nostre piazze come un modello, per mostrare che il mondo guarisce e trova la riconciliazione solo a partire dal frutto della nuova vigna, mediante l’albero della vita che nasce dalla croce di Cristo. In questo senso celebriamo la festa. La processione che in essa ha luogo è come un forte grido che si leva al Dio vivente: Sì, compi le tue promesse. Fai crescere la tua vigna intorno alla terra e rendila un luogo di vita riconciliata per tutti noi. Libera questo mondo dal veleno mediante la tua acqua di vita, mediante il vino del tuo amore. Non permettere che la tua terra sia distrutta dall’odio e dall’arrogante saccenza dell’uomo. Tu, o Signore, tu sei il nuovo cielo, il cielo in cui Dio è un uomo. Donaci la nuova terra, in cui noi uomini diventiamo tuoi tralci, tralci dell’albero della vita, abbeverati dalle acque del tuo amore e trasportati con te nella tua ascesa al Padre, lui che è il vero e solo progresso, che tutti aspettiamo.
Ratzinger J., Immagini di speranza: le feste cristiane in compagnia del papa, 2005